Si è concluso venerdì 22 febbraio 2024, presso l’IRIDeS* di Sendai, il convegno internazionale dei Centri di Allerta Tsunami mondiali, organizzato dalla Commissione Oceanografica Intergovernativa (IOC) dell’UNESCO.
I quattro Centri (PTWS, IOTWS, Caribe TWS e NEAMTWS*) si sono confrontati prima (19 e 20 febbraio) tramite i due “Task Team” appositamente creati, il primo sulle operazioni di monitoraggio e allerta (Task Team on Operations) e il secondo sulla gestione e mitigazione dei disastri (Task Team on Disaster Management and Preparedness). La mattina del terzo giorno (il 21 febbraio) è stata dedicata allo tsunami che è avvenuto nel Mar del Giappone il 1° gennaio di quest’anno, con alcuni seminari tenuti dai colleghi del JMA*, dell’IRIDeS e dell’Università di Tohoku.
Alla fine del seminario siamo stati portati a visitare alcune delle aree colpite dal grande tsunami del 2011. L’area di Sendai, nella prefettura di Miyagi, è stata una delle più danneggiate, con oltre 900 vittime causate dallo tsunami. Va ricordato che l’area colpita si estende per centinaia di chilometri lungo la costa orientale dell’isola di Honshu, la più grande del Giappone. Il bilancio finale fu di oltre 18.000 vittime, 500.000 case furono totalmente o parzialmente distrutte, i danni stimati superano i 220 miliardi di dollari.
” data-medium-file=”https://i0.wp.com/ingvterremoti.com/wp-content/uploads/2024/02/surveyge.jpeg?fit=300%2C194&ssl=1″ data-large-file=”https://i0.wp.com/ingvterremoti.com/wp-content/uploads/2024/02/surveyge.jpeg?fit=1024%2C663&ssl=1″ class=”size-full wp-image-31009″ alt=”” width=”1025″ height=”664″ srcset=”https://i0.wp.com/ingvterremoti.com/wp-content/uploads/2024/02/surveyge.jpeg?w=1025&ssl=1 1025w, https://i0.wp.com/ingvterremoti.com/wp-content/uploads/2024/02/surveyge.jpeg?resize=300%2C194&ssl=1 300w, https://i0.wp.com/ingvterremoti.com/wp-content/uploads/2024/02/surveyge.jpeg?resize=768%2C498&ssl=1 768w” sizes=”(max-width: 1025px) 100vw, 1025px” data-recalc-dims=”1″/>
Le impressioni dominanti durante la visita sono state principalmente due, l’emozione dovuta alla percezione dell’enormità del disastro e l’ammirazione per la capacità di risposta del popolo giapponese.
Ero stato già in quest’area nel 2018 e allora, a sette anni dallo tsunami, erano ancora molto evidenti i segni del disastro, con moltissimi lavori in corso per ricostruire le città colpite in luoghi più sicuri, modificare la destinazione territoriale, creare le barriere con muri, foreste e altro.
Ora, a quasi 13 anni di distanza, i segni del disastro sono molto meno evidenti, ma giustamente sono state preservate molte testimonianze dello tsunami e del suo impatto sul territorio. Credo che ogni cittadina colpita ospiti qualche ricordo del maremoto, da veri e propri musei a piccole sculture commemorative delle vittime, segni dell’altezza delle onde di tsunami su qualche edificio ancora presente, foto e oggetti che restituiscono, anche se solo parzialmente, un’idea della tragedia.
La prima tappa è stata nella città di Natori, separata da Sendai dal fiume omonimo, che ha aggravato l’impatto dello tsunami. I fiumi e i canali, infatti, fungono da corsia preferenziale per le onde di maremoto quando queste cercano di penetrare nell’entroterra.
A Natori abbiamo potuto visitare un piccolo museo (il Natori City Earthquake Reconstruction Tradition Center o Natorishi Denshōkan), ricco di testimonianze (foto prima e dopo l’evento, video, oggetti e altro). Particolarmente toccante un plastico grande diversi metri con la ricostruzione del tessuto urbano della città prima dello tsunami, frutto di un progetto chiamato “LOST HOMES” che ha coinvolto negli anni i cittadini di Natori. Ciascuno degli abitanti sopravvissuti allo tsunami ha piantato nella sua vecchia casa, individuata nel plastico, una bandierina con scritto un pensiero in ricordo dell’evento.
Plastico della città di Natori prima dello tsunami del 2011Faceva impressione osservare la vecchia struttura della città, con le sue strade, le case allineate ordinatamente ai lati, gli spazi pubblici, le scuole, poi guardare fuori dalla finestra del museo e vedere soltanto una piana spoglia dove si è persa ogni traccia della città preesistente. In lontananza si scorgevano soltanto pochi edifici commerciali e qualche palazzo alto costruito negli ultimi anni per permettere l’evacuazione verticale in caso di allerta.
Uno dei pannelli visibili nel Centro visitatori, con le tre immagini di Natori prima dello tsunami (in alto), subito dopo (centro) e nel 2020In aree costiere pianeggianti, infatti, l’allontanamento orizzontale dalla costa sarebbe troppo lungo e si rischierebbe di non farcela. Questi edifici sono stati costruiti appositamente per permettere alle persone che si trovassero nell’area durante un’allerta di salire rapidamente ai piani alti degli edifici. Le scale di accesso sono quindi esterne e accessibili a tutti.
Uno degli edifici costruiti per permettere l’evacuazione verticale in caso di tsunami. Si noti il simbolo dell’evacuazione sulla parete di destra, in altoNel piccolo museo di Natori c’è anche un piccolo spazio per accrescere nei visitatori la consapevolezza del rischio tsunami. Mi ha colpito vedere un angolo dedicato ai “piccoli” tsunami. In Giappone (e non solo lì) temono che dopo il gigantesco tsunami del 2011 le persone possano sottovalutare il rischio di eventi più modesti che sono comunque pericolosi. Peraltro questi eventi, con onde di pochi decimetri e non di molti metri come nel 2011, sono più frequenti dei mega-tsunami, in Giappone come nel Mediterraneo e in tutti i mari.
Nella foto sotto si vedono degli zoccoli costruiti con un peso sotto la suola, per dimostrare come si sarebbe impediti nei movimenti se ci si trovasse con i piedi sotto soli 10 o 30 centimetri di acqua. Come spiegato accanto nello spazio espositivo, camminare in un’acqua profonda 30 cm equivale ad avere una zavorra di circa 36 chili sotto le scarpe.
Ho provato a camminarci e vi assicuro che si fa molta fatica e ci si rende conto che in caso di uno tsunami, anche solo di quell’altezza, difficilmente si riuscirebbe a mettersi in salvo.
Nello stesso angolo del museo c’è una porta realizzata in modo tale da rendere la sua apertura appesantita come se dietro ci fossero 30 centimetri di acqua. Anche in questo caso, ci si rende conto che sarebbe piuttosto complicato tentare di uscire se ci si trovasse in un luogo chiuso durante un “piccolo” tsunami.
Nel video sopra i colleghi dei Centri di Allerta tsunami dell’Indonesia e delle Isole Fiji mentre provano ad aprire la porta con la simulazione dei 30 cm di acqua dietro la porta stessa. La scritta dice “Riesci ad aprire la porta contro 30 cm di acqua?”
Ripartiti da Natori, siamo stati accompagnati alla scuola elementare di Arahama, un’esperienza ancora più toccante. Ne parleremo in un prossimo post.
Altre notizie sul terremoto e sul maremoto del 2011 a questo link.
Lo tsunami del 2011 in Giappone: in visita alle aree colpite /parte 1: Natori


Lascia un commento