La struttura della crosta e le proprietà fisiche delle rocce nell’area epicentrale del terremoto di magnitudo 6.9 avvenuto in Irpinia del 1980 è stata oggetto di una indagine multidisciplinare recentemente conclusa da un team di ricercatori dell’INGV e dell’Università Roma Tre (Figura 1).

Lo studio, pubblicato sulla rivista Tectonics dell’American Geophysical Union, fornisce il primo modello integrato geologico-geofisico tridimensionale della regione fino ad una profondità di 14 km. I ricercatori hanno combinato un modello geologico tridimensionale (3-D) con un nuovo modello di velocità di propagazione delle onde P ed S (Figura 2) determinato con la tecnica della tomografia sismica locale.

Il modello geologico 3-D del sottosuolo è stato ottenuto interpretando, con tecniche avanzate, linee sismiche a riflessione (solitamente usate nell’ambito della ricerca di idrocarburi), pozzi di esplorazione ed il profilo di sismica crostale profonda CROP-04. Parte dei dati di sottosuolo è stata resa disponibile da ENI nell’ambito di una collaborazione per attività di ricerca. La tomografia sismica locale è una tecnica analoga alla TAC utilizzata in campo medico e utilizza i tempi di arrivo delle onde P ed S dei terremoti avvenuti all’interno del volume crostale investigato e registrati da una fitta rete di sismografi, per determinare la distribuzione in profondità dei parametri elastici delle rocce. Questi ultimi forniscono informazioni indirette sulla litologia, lo stato di fratturazione e la presenza di fluidi nelle rocce della crosta terrestre. Lo studio tomografico si è avvalso della presenza nella regione di numerose stazioni sismiche dell’INGV e dell’Irpinia Near Fault Observatory, una infrastruttura di primaria importanza del “EU Testing Center for Earthquake Early Warning and Source Characterization”, nell’ambito dell’infrastruttura di ricerca europea European Plate Observing System (EPOS). Nonostante l’area dell’Irpinia sia stata oggetto di numerosi progetti sismologici di ampio respiro internazionale, fino ad ora non era disponibile un modello geologico di sottosuolo tridimensionale a supporto degli studi in corso. La nuova ricerca permette di colmare questa mancanza, fornendo informazioni cruciali per migliorare la comprensione dell’evoluzione tettonica e dei processi di generazione della sismicità in Appennino meridionale. Tra i principali risultati dello studio, è emerso che le strutture prodotte dai meccanismi compressivi che hanno portato alla formazione della catena dell’Appennino meridionale nonché le eterogeneità litologiche delle rocce nel sottosuolo sono gli elementi che controllano la sismicità di bassa magnitudo registrata negli ultimi 15 anni. La sismicità, infatti, si localizza su due differenti livelli crostali (Figura 3).

Nella crosta più superficiale (<4-6 km di profondità), la distribuzione della sismicità è controllata dai fluidi crostali (acqua salata e CO2) contenuti in rocce carbonatiche rigide Mesozoiche, fortemente fratturate, e si concentra in un blocco crostale delimitato dalle faglie che si sono attivate durante il terremoto del 23 novembre 1980, che sono le principali attrici dei meccanismi estensionali odierni. Nella porzione di crosta più profonda (9-14 km), invece, i terremoti si verificano in rocce di basamento cristallino Paleozoico, di tipo granitico, che sono state indirettamente identificate per la prima volta nella regione grazie a questa ricerca. La sismicità profonda si concentra al di sotto delle grandi pieghe e faglie inverse che hanno deformato tra il Pliocene ed il Pleistocene inferiore (tra 5.3 e 0.8 milioni di anni fa) le rocce carbonatiche Mesozoiche (di età compresa tra 252 e 66 milioni di anni fa) della Piattaforma Apula (Figura 4), analoghe ai calcari che affiorano ad est nelle Murge e nel Gargano, insieme al loro substrato. Poiché rocce carbonatiche e granitiche hanno differenti proprietà meccaniche, i risultati di questo studio hanno notevoli implicazioni per la comprensione dei processi fisici che controllano l’enucleazione e la propagazione della rottura sismica (vale a dire l’attivazione della faglia sismogenetica) durante i terremoti di grande magnitudo.

La pubblicazione è liberamente accessibile al seguente link: https://doi.org/10.1029/2023TC008056. Questo lavoro è stato realizzato grazie all’infrastruttura del laboratorio di sismica a riflessione “SismoLab-3D” (https://sismolab3d.ingv.it/).
Chi volesse approfondire il tema del terremoto del 1980 in Irpinia (il terremoto più forte in Italia degli ultimi 100 anni) può leggere gli articoli di questo blog (https://ingvterremoti.com/category/terremoti_storia/terremoti-del-900/terremoto80/) e il portale realizzato in occasione del 40º anniversario, TERREMOTO80 (https://terremoto80.ingv.it/).
A cura di Fabio Feriozzi (Dipartimento di Scienze, Università degli Studi Roma Tre), Luigi Improta (INGV-ONT), Francesco Emanuele Maesano (INGV-RM1), Pasquale De Gori (INGV-ONT) e Roberto Basili (INGV-RM1).
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Terremoto del 1980 in Irpinia: un nuovo studio chiarisce le relazioni esistenti tra sismicità e rocce crostali nell’area

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