Un importante passo avanti per la mitigazione del rischio maremoto sulle nostre coste è stato compiuto grazie alla deposizione nel Mare Ionio di due boe di alto mare che rilevano l’arrivo in tempo reale di onde anomale. Si tratta delle prime boe per il monitoraggio degli tsunami nel Mar Mediterraneo. La campagna di deposizione si è svolta dal 9 al 17 settembre 2025 a cura del Centro Allerta Tsunami (CAT) dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), nell’ambito del Progetto MEET “Monitoring Earth’s Evolution and Tectonics”, finanziato dal PNRR.
L’operazione è stata condotta a bordo della nave Christos LVII, partita da Sagunto, in Spagna, e ha visto la partecipazione di tre tecnologi dell’INGV (Antonio Costanza, Andrea Di Benedetto e Francesco Macaluso), oltre all’equipaggio della nave e della Mediterráneo Señales Marítimas (MSM), società spagnola costruttrice delle boe.
In questo approfondimento vi raccontiamo l’importanza della missione e il funzionamento delle boe.

Perché monitorare il Mar Mediterraneo?
Il Mar Mediterraneo è un mare semi-chiuso che comunica con l’Oceano Atlantico attraverso lo Stretto di Gibilterra e con l’Oceano Indiano attraverso il Canale di Suez. Il bacino è incastonato tra le coste dell’Europa meridionale, dell’Africa settentrionale e dell’Asia Anteriore. La sua forma attuale risente della lunga evoluzione geologica legata alla convergenza delle placche africana e araba con quella euroasiatica, complicata dalla presenza di diversi blocchi crostali o microplacche, come ad esempio quella adriatica. La deformazione dei margini di tali blocchi si manifesta con terremoti, la maggior parte dei quali avviene in mare o in prossimità delle coste. I più forti tra questi hanno il potenziale di generare dei maremoti.
Nel corso della sua storia il Mare Nostrum è stato interessato da maremoti importanti, alcuni dei quali hanno causato perdite di vite umane e ingenti danni lungo le coste. Il Mar Ionio, in particolare, è una delle zone più critiche a causa della presenza di importanti faglie attive collocate lungo l’arco ellenico, le isole ioniche e in prossimità delle coste italiane. Alcune di queste faglie hanno caratteristiche tali da essere potenziali sorgenti di tsunami.
Il Catalogo dei maremoti dell’area Euro- mediterranea EMTC conta circa 220 maremoti nel Mediterraneo dal 1600 a.C. fino ai nostri giorni, come ricostruito nella Storymaps “In viaggio tra i maremoti del Mar Mediterraneo”. Quasi il 90% dei maremoti riportati nel catalogo ha origine sismica, mentre altri sono stati generati da diversi tipi di sorgenti, come frane sottomarine, o legati ad attività vulcanica. Tra gli eventi di maggior rilievo, ricordiamo lo tsunami del 365 d.C. a Creta, o quello del 1908 generato dal terremoto nello Stretto di Messina, o ancora, in tempi più recenti, quello che ci fu in seguito alle frane sullo Stromboli nel 2002.
Ad oggi, lungo le coste del Mar Mediterraneo (entro i 50 km di distanza dal mare) si stima risiedono tra il 10 e il 12% della popolazione totale europea, circa 180 milioni di persone.
In Italia, nei comuni costieri – definiti come quelli con almeno il 50% della superficie entro i 10 km dal mare – vivono oltre 20 milioni di abitanti, un numero che cresce sensibilmente durante la stagione estiva grazie all’afflusso turistico. In caso di tsunami, le comunità costiere potrebbero essere colpite dal maremoto in tempi che si stimano possano variare tra i pochi secondi e i 30-40 minuti a seconda del luogo origine dell’evento. Ciononostante, la percezione del rischio tsunami, di chi vive in zona costiera – e in generale – della popolazione italiana è bassa, come dimostrano recenti indagini. Per questo sono importanti le azioni di prevenzione non strutturale per sensibilizzare i cittadini e renderli più consapevoli, come ad esempio la campagna nazionale Io non rischio, così come risulta centrale da parte delle autorità preposte alle azioni di monitoraggio migliorare il sistema di allertamento con strumenti rapidi ed efficaci.
Il Sistema di allertamento
Dal 2017 è attivo il Sistema nazionale di Allertamento per i Maremoti di origine sismica (SiAM), coordinato dal Dipartimento della Protezione Civile (DPC) e composto dal Centro Allerta Tsunami dell’INGV e dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). Il CAT, in particolare, svolge la funzione di Tsunami Service Provider (TSP) per l’area Euro-Mediterranea, fornendo l’allertamento a numerosi Paesi europei, africani e asiatici che si affacciano sul Mediterraneo, oltre che al DPC. Il CAT gestisce la catena di allerta nella fase detta Upstream, che comprende il monitoraggio dei fenomeni sismici e la trasmissione delle allerte al Dipartimento della Protezione Civile che, a sua volta, ha il compito di diffondere l’allerta.
Il Sistema si serve di una rete di sensori che registrano le onde sismiche e di mareografi che rilevano le variazioni del livello del mare. La Rete Mareografica Italiana, gestita dall’ISPRA si compone attualmente di 41 mareografi posizionati in vari porti italiani. Il monitoraggio degli tsunami, avviene inizialmente analizzando i parametri dei terremoti, quali la magnitudo, la profondità e la distanza dalla costa e successivamente analizzando i segnali mareografici.
Tuttavia, un sistema basato soltanto su questi strumenti consente di confermare la generazione di uno tsunami solo quando quest’ultimo ha già raggiunto la costa.
Monitoraggio più efficace con strumenti più rapidi
Per migliorare il Sistema e renderlo più veloce ed efficace, da tempo un gruppo di ricercatori e tecnologi dell’INGV è impegnato nello studio degli tsunami e delle tecniche di monitoraggio marino. Si inseriscono in questo percorso la progettazione, la realizzazione e la campagna di deposizione delle prime due boe di mare profondo al largo del Mar Ionio. La prima è stata posizionata a circa 100 km a est della costa orientale della Sicilia ad una profondità di ca. 3200 m, mentre la seconda a circa 100 km a est della Calabria ad una profondità di ca. 2600 m. Entrambe le boe si trovano a circa 100 km di distanza dalla costa e sono state posizionate in punti strategici, individuati in seguito ad uno studio che tiene conto della pericolosità associata agli tsunami nell’area, la modellazione numerica di ca. 200k scenari di tsunami e il tempo che intercorre tra l’occorrenza di un ipotetico evento sismico e l’osservazione in un punto dello tsunami eventualmente generato.

Vediamo come funzionano. A ciascuna delle due boe, ancorate al fondale, sono stati collegati due sensori che misurano la pressione esercitata dalla colonna d’acqua sovrastante e possono essere collocati a migliaia di metri sotto il livello del mare, come nel nostro caso. Le boe ricevono i dati dai sensori tramite un link (modem) acustico e li trasmettono via satellite al Centro Allerta Tsunami dell’INGV. I sensori di pressione assoluta sono in grado di rilevare variazioni dell’altezza della colonna d’acqua soprastante di qualche centimetro, riuscendo a discriminare tra onde dovute al vento, maree e onde di possibili tsunami. In caso di tsunami, i sensori di pressione iniziano a trasmettere i dati con una maggiore frequenza, per permettere una misurazione fedele delle onde di tsunami, aiutando il “forecasting” in tempo reale e permettendo di ridurre il tempo necessario a confermare l’imminente arrivo di uno tsunami sulle nostre coste, o a cancellare l’allerta. Prima dell’integrazione nel sistema di monitoraggio del Centro Allerta Tsunami dell’INGV, i dati saranno sottoposti a una fase preliminare di test e verifica, finalizzata a garantirne l’affidabilità.
In questo video vi mostriamo alcuni momenti salienti della campagna di deposizione delle boe.
in collaborazione con il Centro Allerta Tsunami INGV
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Installate le prime boe di alto mare che monitorano i maremoti nel Mar Mediterraneo

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