Il terremoto del 26 settembre 1997 nell’area di Colfiorito, tra l’Umbria e le Marche, rappresenta un evento epocale per la storia della sismologia italiana e per il modo in cui si iniziò a lavorare a beneficio della società.
All’epoca la ricerca in campo sismologico era svolta in diversi ambiti. Oltre alle Università operavano altre istituzioni. Nella sola sede di Roma esisteva l’Istituto Nazionale di Geofisica (ING) che si occupava soprattutto della sorveglianza sismica; il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) aveva attivo il Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT), costituito da docenti universitari e ricercatori di CNR e l’allora Osservatorio Geofisico Sperimentale (OGS, divenuto poi INOGS) che avevano formato nelle diverse sedi gruppi di giovani ricercatori a contratto; infine, come servizio tecnico statale, a Roma esisteva il Servizio Sismico.
Negli anni successivi, il Servizio Sismico è confluito nel Dipartimento della Protezione Civile, mentre dalla fusione dell’ING con alcuni istituti del CNR nasceva nel 2001 l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) nel quale è poi confluito il personale precario del GNDT.
Durante l’emergenza di Colfiorito il personale dei tre enti lavorava separatamente, ma per il rilievo macrosismico si decise di collaborare per avere un quadro degli effetti unico e condiviso.
In questo articolo ripercorriamo le tappe significative di quell’evento e del suo rilievo macrosismico attraverso i ricordi di chi ha partecipato a quella primissima e fondamentale esperienza di collaborazione dalla quale successivamente nacque il gruppo operativo QUEST.
Colfiorito e la sperimentazione della Scala Macrosismica EMS-98
di Andrea Tertulliani
Nel 1992 fu pubblicata la prima versione della nuova Scala Macrosismica Europea (EMS-92, Grünthal, 1992), che avrebbe dovuto sostituire le scale fino allora in uso in Europa, la MSK e la MCS. La EMS rimase però per diversi anni in fase di sperimentazione in attesa di verifiche sul campo. La prima vera occasione di testarla concretamente arrivò con la sequenza sismica di Colfiorito. Nei primi giorni della sequenza tutte le realtà che si occupavano di rilievo macrosismico si erano attivate in autonomia: GNDT, ING, SSN, per produrre indagini indipendenti. Terminata questa fase, con la produzione di un campo macrosismico di consenso tra i vari gruppi (non senza attriti), compilato secondo la scala MCS , Max Stucchi – uno degli estensori della EMS – invitò a Macerata, presso l’Osservatorio Geofisico, un gruppo di rilevatori macrosismici per sperimentare direttamente l’utilizzo della nuova EMS-92.
L’idea fondamentale era che a testare la nuova scala fossero operatori esperti, provenienti da esperienze diverse e con differenti “correnti di pensiero”, in modo che la sinergia tra di loro producesse migliori risultati.
Il terremoto, purtroppo, si prestava bene a quel tipo di esperimento, con danni molto diffusi che avevano colpito edificati di varia tipologia ed estensione. Bisognava infatti verificare se i diagnostici della nuova scala leggessero correttamente tipologia e diffusione del danno. I sismologi coinvolti provenivano da diverse realtà della sismologia italiana, con la preziosa partecipazione di Ina Cecic del Servizio Geologico Sloveno. Per l’ING c’eravamo io eSergio Del Mese.

Quell’esperienza ebbe un impatto decisivo sui successivi sviluppi della macrosismologia, soprattutto in Italia. Il test della EMS-92 rappresentò la sperimentazione sul campo definitiva, che pose le basi per l’elaborazione finale della scala EMS-98. Il metodo di lavoro adottato – squadre che si alternavano nei rilievi, verifiche giornaliere sui dati raccolti e un intenso confronto sul nuovo approccio al rilievo macrosismico – si rivelò fondamentale per i futuri sviluppi della disciplina. Inoltre, la collaborazione sul terreno tra ricercatori appartenenti a enti diversi, portatori di esperienze e metodi talvolta contrastanti, si trasformò in un banco di prova cruciale per definire regole più condivise e uniformi nei rilievi macrosismici.

Dal punto di vista scientifico, l’iniziativa fu un successo e, senza timore di esagerare, posso affermare che proprio allora furono poste le basi per la nascita dell’attuale gruppo di emergenza QUEST, che nei decenni successivi ha guidato i rilievi macrosismici di tutti i terremoti italiani.
Ma forse il risultato più prezioso di quell’esperienza fu la nascita di sinergie professionali e, soprattutto, di autentiche amicizie tra colleghi, saldate dal clima che si crea durante attività intense emotivamente e, possiamo dirlo anche rischiose. Grazie a quella prima, importante collaborazione “comunitaria”, la macrosismologia – che in quel periodo aveva perso parte della sua centralità – tornò gradualmente a occupare un ruolo fondamentale nell’ambito sismologico. Fu in quei momenti che iniziò a prendere forma l’attuale comunità macrosismologica dell’INGV, cresciuta enormemente a partire da quel piccolo nucleo iniziale.

Infine non posso esimermi di ricordare con grande affetto anche due amici e colleghi che fecero parte di quella esperienza scientifica e che ci hanno lasciato prematuramente in tempi recenti, Marco Mucciarelli e Giancarlo Monachesi.
Quelle giornate lunghissime che battezzarono il primo rilievo “a scala nazionale”
di Raffaele Azzaro
I terremoti di Colfiorito accaddero – all’improvviso come sempre – in un momento particolare della mia vita professionale. Erano anni di grande incertezza circa il futuro: avevo un contratto di ricercatore a tempo determinato del GNDT, all’epoca afferente al CNR, ma il gruppo stesso era in forte crisi, con frequenti cambi di presidenza e prospettive di “chiusura”.
La possibilità di partire per partecipare ad un rilievo macrosismico nelle aree devastate dalle due più forti scosse, rappresentò per me una vera e propria scarica di adrenalina. Nacque un coordinamento tra i colleghi precari del GNDT – Romano Camassi in primis – e Giancarlo Monachesi dell’Osservatorio Geofisico Sperimentale di Macerata (che collaborava con il GNDT) per la programmazione delle attività sul campo e della logistica necessaria. Partii con Fina Barbano, con cui già lavoravo da un po’ di anni.
Per essere al riparo dagli effetti poco piacevoli delle repliche, decidemmo di alloggiare a Macerata; ero in un albergo del centro storico, e la notte mi svegliavo frequentemente per degli scuotimenti non proprio trascurabili… la struttura oscillava vistosamente, o perlomeno questa era la mia impressione.
La mattina ci sobbarcavamo trasferimenti di un’ora, nel migliore dei casi, per raggiungere l’area epicentrale; spesso ero in auto con Giancarlo Monachesi, che alla tensione determinata dagli eventi sismici aggiungeva quella indotta dalla sua guida, per così dire, brillante.

Il rilievo macrosismico era per lo più focalizzato sui centri abitati più piccoli, dove poteva essere più semplice tenere il conto delle tipologie costruttive e dei relativi danni. Ricordo che fui molto colpito dalla estensione dell’area con danni gravi, e dai crolli così diffusi in alcuni centri storici; una realtà ben diversa da quella a cui ero abituato con i terremoti etnei, i cui effetti si esaurivano su brevi distanze epicentrali. E poi, come dimenticare il terremoto di M5 avvertito nel piazzale di un distributore all’ingresso di Colfiorito? Gli alberelli oscillavano paurosamente e si vedeva il treno d’onda propagarsi sull’asfalto, come un tappeto sbattuto!
Il rientro cominciava al tramonto, quando la luce non consentiva più di lavorare. Si tornava veramente stanchi… ma non era finita lì! Dopo cena si ricominciava, c’era la parte di analisi dei dati. Ci riunivamo all’Osservatorio Geofisico di Macerata e, sotto la “direzione” di Max Stucchi, ci si confrontava per l’assegnazione delle intensità, compilando lunghe tabelle. Si staccava tardissimo, non prima però di aver fatto il programma per la giornata successiva, e la composizione delle squadre.

Oltre al gruppo dei precari GNDT, per me furono i primi contatti con i colleghi dell’ING – Andrea Tertulliani e Sergio del Mese – e di alcune università. Ricordo un clima sereno e costruttivo; iniziava, seppur timidamente, quella collaborazione che avrebbe portato all’istituzione di QUEST in seno all’INGV, non troppi anni dopo.
L’esperienza della sequenza sismica dell’Umbria-Marche del ’97 mi ha fatto diventare grande e, soprattutto, ha segnato l’inizio di un rapporto di amicizia, stima e collaborazione con molti dei presenti, sodalizio che ancora oggi ci accomuna.

Un battesimo del fuoco!
di Ilaria Leschiutta
Fu anche per me una prima volta.Mi ero appena trasferita da Roma a Milano per una borsa di studio del GNDT. Avrei preso servizio dopo qualche giorno, ma ero andata prima per conoscere l’ambiente e i nuovi colleghi.
Mi trovai in mezzo ad una situazione di grande agitazione perché neanche 24 ore prima c’era stato il terremoto di Colfiorito: già si contavano i morti e i danni, le repliche erano forti e continue.
Il responsabile della borsa di studio era Max Stucchi, che a bruciapelo di disse: “Noi stiamo andando nelle Marche. Tu vieni?”
Fui colta alla sprovvista e, per quanto totalmente impreparata a quello che avrei trovato, non potei che rispondere: “Sì, certo!”
Partii praticamente senza bagaglio (avevo con me il necessario per un paio di giorni a Milano) e dovetti chiedere aiuto alle colleghe Fina Barbano e Ina Cecic e farmi prestare un po’ tutto, come felpe e giaccone pesante, che comunque non servirono ad evitarmi un malanno.
Fu un’esperienza importante per la mia formazione e per il mio futuro di ricercatrice impegnata nella macrosismologia. E anche per stringere amicizie con tanti che ancora oggi sono miei colleghi.
Un autentico battesimo del fuoco!
Il più forte terremoto agli albori di Internet. Quando le comunicazioni viaggiavano con modem a 56k
di Carlo Meletti
Per me, come per molti altri colleghi della mia generazione, è stata la prima attività sul campo dopo un forte terremoto. Ho partecipato alla campagna di rilievo macrosismico, quindi all’assegnazione dell’intensità degli effetti in ogni località.
Il primo impatto con l’area epicentrale fu drammatico. Ero arrivato circa una settimana dopo le prime forti scosse, alla guida del pulmino del Dipartimento di Scienze della Terra di Pisa. Arrivai a Colfiorito con il collega Romano Camassi , erano le 12; parcheggiammo al distributore del paese, una delle poche attività funzionanti. Feci in tempo a chiudere a chiave il pulmino che si verificò un terremoto di magnitudo 5; eravamo sopra l’epicentro e ancora mi ricordo il pulmino che saltava staccando le ruote da terra.
Un’esperienza molto forte, perché da un lato potevamo constatare l’impatto di un terremoto, cosa che finora avevamo soltanto visto nelle foto e sentito nei racconti, dall’altro ci siamo trovati a contatto con persone che avevano perso tutto e non capivano come potessimo avere un interesse scientifico della tragedia che li aveva colpiti.

E’ stato anche il primo forte terremoto in Italia agli albori di internet, che inizialmente era diffuso soprattutto nell’ambito della ricerca scientifica. Ci fu quindi il modo di poter raccontare quasi in diretta cosa emergesse dal rilievo macrosismico, con le mappe che si aggiornavano ogni giorno, insieme a relazioni, immagini e dati. Oggi sembra banale raccontarlo, ma a quel tempo le comunicazioni avvenivano con modem a 56k:per i più giovani vuol dire 56.000 bit/secondo, per trasferire ad esempio un file di 1 Mega servivano 2 minuti e mezzo nel migliore dei casi, perché se si bloccava si doveva ricominciare; oggi, invece, con la fibra ottica si comunica a miliardi di bit al secondo! Inoltre non esistevano macchine fotografiche digitali quindi si scattavano le foto, si correva a farle stampare per poi scannerizzarle; i telefoni cellulari li avevano solo poche persone facoltose e le comunicazioni erano dunque molto difficili.

Fu un’esperienza intensa e importante anche sul piano personale. Quelle che fino a quel momento erano semplici conoscenze, divennero autentiche amicizie che perdurano a distanza di quasi 30 anni.
Colfiorito e un ‘topo d’archivio’ al telefono
di Viviana Castelli
Il terremoto umbro-marchigiano del 1997/98 ebbe molti primati. La prima volta che in Italia si vedevano danni sismici in diretta TV. La prima volta che panico e ansia invadevano aree appena sfiorate o non sfiorate affatto dalle scosse, facendo impennare il consumo di tranquillanti. La prima volta del ‘turismo del terremoto’, che trasformava i paesi distrutti in meta di gite fuori porta ed era forse la prima avvisaglia di una deriva sociologica allora impensabile, quella che riduce i drammi più efferati a mero spettacolo cui si assiste dallo schermo dei cellulari.
Nel mio piccolo, fu una prima volta anche per me. Nel settembre 1997 ero al sesto anno di contratti a tempo determinato del GNDT e da una decina d’anni mi occupavo di ricerche storiche sui terremoti. Un lavoro che consisteva nell’impicciarsi delle vicende di persone e comunità lontane nel tempo e che si svolgeva in posti tranquilli: archivi, biblioteche e l’Osservatorio Geofisico Sperimentale di Macerata, la “succursale marchigiana” del GNDT. Un prefabbricato lungo quanto il suo nome, all’estrema periferia ovest della città, dove la quiete regnava quasi sempre, tranne quando passavano l’autobus o il camion della nettezza urbana, puntualmente segnalati dalle registrazioni dei sismografi della Rete Sismica Marchigiana.
Poi arrivò la notte del 26 settembre, i pennini dei sismografi impazzirono e sembrava che non dovessero fermarsi più. Nel giro di poche ore l’Osservatorio si trasformò nel quartier generale della comunità sismologica italiana ed europea, richiamata nelle Marche centrali da un evento che, per molte ragioni, si annunciava come epocale.
Il mio mentore Giancarlo Monachesi si fece in quattro (senza contare le attività di ricerca) fungendo da padrone di casa, coordinatore, meccanico e autista di una squadra di volontari che comprendeva cattedratici e neolaureati, precari e professionisti che, pur di esserci, si erano messi in ferie.
In sede, a presidiare telefono e computer, io e un giovanissimo informatico, Henry Coppari.
Fu proprio mentre ero al telefono con una collega di Milano che capitò la seconda forte scossa del 26 settembre, quella che fece crollare la volta di San Francesco ad Assisi: l’Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico ne ebbe così l’annuncio in diretta.
Poi cominciarono – destinate a non interrompersi per mesi e mesi – le telefonate dei privati cittadini. Quelli che, in città, nei dintorni, nelle Marche e nelle regioni dei dintorni sapevano, vagamente, che all’Osservatorio di Macerata c’era gente che studiava quegli strani fenomeni venuti a turbare il loro più o meno placido tran tran di vita. «Cos’è successo?». «Perché è successo?». «Quando finirà?». «Posso stare tranquilla?». «Finirà presto?». «Abito a Perugia, mi consiglia di andare altrove?». «Quante scosse avete registrato oggi?». «Mi può dire qualcosa?». «Ho paura, sono sola in casa». «Finirà?».
Voci sconosciute di esseri umani in cerca di un contatto umano, di un sostegno purchessia, anche quello – dilettantesco a dir poco – di un ‘topo d’archivio’ strappato alle sue care scartoffie e messo alle prese con un microcosmo vivo e scombussolato da agitazioni e incertezze, pretese irragionevoli e ragionevolissime paure, dai grandi drammi del terremoto e dai piccoli (ma pesantissimi) drammi della solitudine e della vecchiaia.
Tra una telefonata e l’altra, si mandava avanti anche l’attività corrente: la rassegna stampa, tra pile sempre più incombenti di quotidiani (furono buttati via anni dopo, quando lasciammo l’Osservatorio di Macerata per la prima “sede informale” INGV di Ancona); la caccia ai precedenti storici del terremoto in corso; la redazione, a passo di carica, di un rapporto tecnico aggiornato sulla sismicità maggiore dell’Appennino umbro-marchigiano che riuscimmo a completare in tempo per distribuirlo alla sessione straordinaria dedicata al terremoto dal Convegno GNGTS di quell’anno.
Ma la vera impresa fu rispondere a tutte quelle telefonate.
Ogni volta è la prima volta
di Romano Camassi
Il 26 settembre 1997 non è stata la prima volta, infatti. Meno di un anno prima, il 15 ottobre 1996, il terremoto di Correggio e Bagnolo in Piano (Reggio Emilia), sentito fortissimo a Bologna, terremoto ‘esplorato’ insieme a un bel gruppo di bravissimi tecnici della Regione Emilia Romagna.
Di quella mattina, il 26 settembre 1997, non ricordo quasi nulla, mentre ricordo ogni dettaglio, comprese le ore prima, di altre prime volte: il 6 aprile 2009 dell’Aquila, con una forte scossa nel Forlivese la sera precedente, sentita anche a Bologna. E subito l’organizzazione che si mette in moto, un giro di telefonate e in poche ore siamo già al lavoro in area epicentrale. Così per l’Emilia del 2012 e poi per l’Italia Centrale del 2016.
Di quella prima volta, invece, solo il vago ricordo di un appuntamento ‘sindacale’ a Pisa, con cambio di programma in corsa e dirottamento, via Firenze, verso il Maceratese. Di quei primi giorni ricordo solo aneddoti futili. Per qualche notte, ad esempio, abbiamo dormito accampati in un appartamento a Macerata, con Marco Mucciarelli che si svegliava e ci svegliava in continuazione per ogni minima scossa. Per questo, due anni dopo, quando nell’agosto del ’99 siamo andati in Turchia insieme, la sera si facevano 200 km in macchina per andare a dormire a Bursa, il più lontano possibile dalla zona epicentrale. Nel 1997 io andai avanti per giorni senza avvertire nessuna scossa. Ma poi dopo l’esperienza della botta di M5 nel piazzale di un distributore a Colfiorito non ne perdevo una, sentivo anche le più piccole.
Non so precisamente in quale momento, ma avevo certamente parlato a Giancarlo Monachesi dell’esperienza di documentazione di un sito archeologico con la tecnica QuickTime Virtual Reality. E così è nata l’idea, in quelle prime notti frenetiche, di provare a fare lo stesso per alcuni siti danneggiati dal terremoto marchigiano. Il 29 settembre, tre giorni dopo la scossa principale, Luca Postpischl è arrivato a Macerata con tutta l’attrezzatura, e il giorno stesso abbiamo fatto le riprese ad Annifo, Arvello San Martino e Cesi e il 16 ottobre, dopo la forte scossa del 14 ottobre, le riprese a Sellano e Monte Santo.

L’esplorazione virtuale dell’area epicentrale, costituita da scene panoramiche a 360 gradi multinodo, visualizzabili interattivamente in modo del tutto libero, sono diventate una delle sezioni più visitate del sito web. Al punto da ricevere numerose recensioni, la più prestigiosa delle quali sul numero del 22 ottobre del quotidiano parigino Le Monde.

Questa idea, insieme alla possibilità di combinare nello stesso intervento di rilievo tecniche diverse (l’osservazione diretta, riprese panoramiche a 360 gradi, misure di microtremore con la tecnica di Nakamura), è diventata motivo di consolidamento di un curioso sodalizio con Giancarlo Monachesi e Marco Mucciarelli. Insieme di lì a poco, nell’aprile del ’98, abbiamo varcato il confine sloveno, documentando solitari gli effetti del terremoto di Bovec, e poi nell’agosto del ’99, la temeraria spedizione – io, Marco Mucciarelli e Rosaria Gallipoli, con Giancarlo coordinatore remoto – in Turchia, una settimana di rilievo di uno dei più forti terremoti degli ultimi decenni in area europea.
26 settembre ’97, 12 aprile ’98, 17 agosto ’99: tre prime volte che non si dimenticano.
Dedicato agli amici (e colleghi) che parteciparono a quell’esperienza e che nel frattempo ci hanno lasciato: Fabio Meloni, Giancarlo Monachesi, Marco Mucciarelli.
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Colfiorito 1997. Quel terremoto che cambiò la macrosismologia e il nostro modo di lavorare

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