La seconda tappa del “field trip” il 21 febbraio 2024, dopo Natori, prevedeva la visita della scuola elementare, l’unica costruzione di Arahama che nel 2011 ha resistito al terremoto e allo tsunami ed è stata usata come riparo per molte persone della zona e per i bambini che si trovavano all’interno. L’edificio si erge su una piana anche in questo caso totalmente priva di edifici, che ha sostituito completamente la zona urbana costiera di Sendai.
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La scuola si trova a 700 metri dalla costa e qui lo tsunami ha raggiunto i 4 metri e mezzo di altezza, per addentrarsi poi ancora di qualche chilometro più all’interno. Gli alunni presenti quel pomeriggio a scuola, oltre 200, e molti abitanti della zona si sono salvati portandosi sul tetto del palazzo, al quarto piano. Nel caso della scuola di Arahama, l’inondazione è iniziata circa un’ora dopo il terremoto, dando quindi un tempo sufficiente a un buon numero di persone per portarsi all’ultimo piano dell’edificio. Purtroppo Sendai ha contato oltre 900 tra vittime e dispersi, che evidentemente sono stati raggiunti dallo tsunami senza avere la possibilità di raggiungere un luogo sicuro.
Già dall’esterno si capisce che cosa dev’essere stato il passaggio dello tsunami. Questo, va ricordato, non è un’unica onda che arriva e si ritira poco dopo, ma una serie di onde che penetrano nell’entroterra anche per chilometri in caso di pianure come quella di Sendai. In rete si trovano alcuni video ripresi all’aeroporto locale, che è stato invaso completamente.
Nel piazzale antistante la scuola, sul lato opposto all’oceano, un cartello spiega cosa è accaduto, mentre sulla facciata un altro cartello, a quasi 5 metri di altezza dal terreno, riporta il segno del livello raggiunto dallo tsunami. Spostando lo sguardo a destra, si nota che il balcone del primo piano è danneggiato, con i ferri e il cemento della balaustra distorti e spezzati.
Il piano terra dell’edificio scolastico, che ospitava classi e laboratori, è stato completamente riempito di detriti di ogni tipo, comprese alcune automobili che si sono incastrate tra i muri della scuola.
All’interno del primo piano, alcune aule sono visibili: sono state svuotate dai detriti ma lasciate intatte: il pavimento, le pareti e le finestre sporche di fango, i pannelli dei controsoffitti parzialmente distrutti.
Un segnale sul muro del corridoio del primo piano indica delle macchie lasciate dall’acqua sul soffitto: quando l’oceano è penetrato deve avere spazzato via tutto, come mostrato dalle foto esposte, ma deve aver formato delle correnti e delle onde che hanno raggiunto il soffitto, a oltre sei metri di altezza. Nessuno che si fosse trovato in quel piano si sarebbe potuto salvare.
Al secondo piano è stata realizzata la parte espositiva, con una stanza dedicata alla proiezione di video con le testimonianze delle alunne e degli alunni e dei maestri e maestre. Nella stessa stanza sono visibili foto e reperti dell’epoca. Anche lungo i corridoi e lungo le scale tra un piano e l’altro ci sono le foto dei luoghi come trovati dopo l’11 marzo 2011 e dei racconti molto toccanti dei professori e dei ragazzi quando hanno potuto fare ritorno alla scuola: il giorno dello tsunami erano stati salvati grazie agli elicotteri che li avevano recuperati sul tetto, in mezzo a un mare pieno di detriti di ogni tipo che non sarebbe stato possibile navigare né tanto meno nuotarci dentro.
Plastico della città di Arahama/Sendai prima dello tsunami. Su ogni casa le persone sopravvissute che vi abitavano hanno inserito una bandierina con un ricordo dell’evento. Oggi su tutta la piana resta solo l’edificio della scuola.
Un’altra stanza del terzo piano è dedicata alla ricostruzione. Con un giusto orgoglio il Professor ONO dell’IRIDeS (International Research Institute of Disaster Science) ci ha spiegato come il popolo giapponese sia destinato a imparare dai propri errori (basti pensare al grande terremoto e all’incendio di Kanto del 1923, a Hiroshima e Nagasaki, al terremoto di Kobe del 1995 e allo tsunami del 2011). Per proteggere la piana e le abitazioni, ora spostate verso l’interno su un territorio sopraelevato, sono state costruite diverse barriere. Non solo un muraglione verso l’oceano ma diverse opere utili a “rallentare” lo tsunami e a fargli perdere energia: una foresta, un canale, un’altra foresta, infine delle strade sopraelevate che svolgono la funzione di muro. Nello tsunami del 2011, infatti, era accaduto che la strada principale che correva parallelamente alla costa, a un paio di chilometri da questa, avesse agito come barriera, impedendo all’inondazione di raggiungere le aree abitate più distanti.
Il primo muro verso l’oceano è sufficiente a difendersi dagli tsunami più piccoli che avvengono più frequentemente, mentre per contenere i mega-tsunami come quello del 2011, che hanno un periodo di ritorno medio di un migliaio di anni, sono necessari tutti i sistemi di difesa descritti sopra.
Salendo sulla terrazza del terzo piano, sono stato colpito da un racconto alla parete, fatto da una insegnante che era tornata nella scuola qualche settimana dopo il disastro, dopo essere stata portata in salvo con l’elicottero dal tetto. A parte la sua comprensibile commozione nel vedere i piani inferiori inaccessibili per la quantità di detriti, raccontava di aver trovato una scritta su una parete: Gentilezza e gratitudine in questi tempi difficili. Si era allora immaginata quel luogo pieno di centinaia di persone che vi si erano rifugiate in attesa di essere salvate, bivaccando lì per un giorno e una notte, senza luce né acqua, al freddo e con pochissime provviste. Ma grate per essere ancora vive, in quell’oceano di distruzione e morte. Avevano resistito attraverso la forza, il senso della comunità e la gentilezza, concludeva l’insegnante.
Arrivando sulla terrazza in cima all’edificio, colpiva la desolazione della pianura circostante. La scuola naturalmente è stata spostata in un luogo più sicuro e quella di Arahama rimane come una cattedrale nel deserto, a futura memoria. Poco distante, lo sguardo rivela un altro sistema di difesa: anche in questo caso un presidio per l’evacuazione verticale ma, diversamente dagli edifici di Natori, una spoglia collinetta artificiale (quel giorno coperta di neve) alta una dozzina di metri e accessibile da scale sui quattro lati e da un sentiero di accesso a spirale (per chi le scale non riesce a farle).
Se si osservano le foto da Google Maps, si trovano numerose collinette come quella lungo tutta l’area costiera di Sendai, per permettere ai visitatori di frequentarla (non di viverci!) avendo a disposizione diverse possibili vie di fuga in caso di allerta tsunami.
Foto da Google maps di una delle numerose collinette artificiali create per garantire una via di fuga allo tsunami.A cura di Alessandro Amato, Centro Allerta Tsunami (INGV-ONT)
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Lo tsunami del 2011 in Giappone: in visita alle aree colpite /parte 2: La scuola di Arahama







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